CESSIONE D’AZIENDA O CESSIONE DI BENI?

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La Corte di Cassazione ha recentemente riqualificato una cessione frazionata applicando l’imposta di registro al posto dell’IVA.
Per distinguere la cessione di azienda, soggetta ad imposta di registro rispetto alla cessione di singoli beni aziendali che sono invece assoggettati ad IVA, bisogna valorizzare la “complessiva operazione economica realizzata“ anche in funzione dell’obbiettivo economico perseguito dalle parti.
È questo il principio formulato dalla Corte di Cassazione nell’ordinanza n. 21767 depositata in data 20 Settembre 2017.
Il tema è quello dell’esatta qualificazione degli atti di cessione d’azienda, al fine di definire l’esatto inquadramento fiscale dell’operazione con particolare riferimento alle ipotesi di cessioni frazionate nelle quali la cessione dell’azienda o del ramo di azienda viene realizzata mediante una serie di atti di cessione di beni aziendali singolarmente assoggettati ad imposta sul valore aggiunto ma che, se inquadrati complessivamente, realizzano gli effetti di una cessione d’azienda.
L’operazione messa in atto in concreto nel caso di specie riguarda la cessione di due esercizi commerciali, avvenuta tra due società, rimanenze escluse, le quali vengono poi successivamente trasferite alla cessionaria mediante l’interposizione di una società partecipata e controllata dalla stessa cessionaria.
Secondo la Corte di Cassazione all’esito della complessiva operazione economica posta in essere dalle parti, i due rami d’azienda, comprese le rimanenze, sono transitati da una società all’altra sebbene “i distinti passaggi interni siano stati realizzati con separati atti contrattuali“.
Nella definizione del corretto trattamento fiscale dell’operazione il giudice non può limitarsi a considerare il solo dato contrattuale ma avrebbe dovuto esaminare “il fenomeno economico” che il rapporto mira a realizzare, così da valutare l’effettiva consistenza dell’operazione ed in caso di pluralità di operazioni, se esse abbiano una medesima sostanza economica anche se via sia una differente sostanza dal punto di vista giuridico.
La valorizzazione della sostanza economica, secondo la Corte di Cassazione, è richiesta da diverse norme giuridiche, tra le quali, in particolare l’art. 20 del DPR 131/86 per l’imposta di registro ed in ambito IVA si delinea un criterio di ordine generale sulla base del quale una pluralità di operazioni vanno considerato un un’unica operazione quando due o più elementi o atti sono tal punto connessi da formare, oggettivamente, una sola prestazione economica indissociabile (Corte di Giustizia 8 dicembre 2016 causa C-208/15).
Inoltre, sempre secondo la Corte, i principi generali impongono che il contribuente corrisponda l’imposta prevista dalla legge e non l’imposta da lui scelta a prescindere dalla forma adottata.
Per questi espressi motivi alla luce della nozione d’azienda che si desume dagli artt. 2 comma 2 lett. B) del DPR 633/72 e 51 comma 4 del DPR 131/86 nonché della nozione di azienda desumibile dalla disciplina comunitaria nel sistema dell’IVA, la Corte afferma che, ai fini fiscali assume rilevanza centrale “l’elemento funzionale“ ovvero il legame trai l singolo componente aziendale e l’impresa per cui in presenza di tale legame l’intera operazione va valutata nel suo complesso come cessione d’azienda.
Pertanto, nel caso di specie, la Corte conclude che non era corretta la qualificazione degli atti accolta dai giudici di merito che avevano considerato separatamente i singoli atti escludendo la cessione d’azienda e valorizzando la clausola contrattuale di esclusione delle rimanenze.
Alla luce dei diversi atti l’operazione doveva essere qualificata invece come cessione d’azienda ed assoggettata quindi ad imposta di registro.

 

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